Erano notti che Settimio non dormiva. Troppi pensieri. Pensieri cupi che non svanivano neanche con il whisky. Per fortuna questa settimana aveva il turno di notte all’ospedale. Prima di andare passò davanti al bar sotto casa: la serranda era ancora alzata e si fermò dal suo amico per un goccio.
Arrivato al San Giovanni parcheggiò l’auto al solito posto e salì in reparto. Camminava lungo la corsia avvolto da quella stessa miscela dolciastra di disinfettante, cibi precotti e urina che respirava da ormai trentacinque lunghissimi anni. Lui la chiamava “puzza di malattia”, e quando voleva scacciarla se ne andava sul tetto a fumare. Aveva convinto gli addetti della manutenzione a farsi dare le chiavi della porta, in cima all’ultima rampa di scale: una porta che potevano aprire soltanto loro, perché dava accesso all’esterno e agli impianti di condizionamento. Negli ultimi tempi Settimio saliva fin lassù e ci restava a lungo, preoccupato per alcuni fatti che si stavano verificando e che riportavano la lancetta dell’orologio indietro di tanti anni.
Quella sera guardò a lungo giù verso il piazzale; in particolare si soffermò su due portantini del pronto soccorso che chiacchieravano proprio sotto la grande insegna luminosa bianca e rossa. Si accese la sigaretta e un brivido di freddo lo attraversò lungo tutto il corpo. La sua mente tornò immediatamente alle cassette audio che il professore gli aveva fatto ascoltare nel pomeriggio. Non riusciva a credere alla gravità dei fatti registrati su quei nastri. Ripensò alla voce ferma del professore, che non tradiva la minima emozione nel rievocare fatti tremendi ma ormai dimenticati. A Settimio rimbombavano ancora in testa le parole con cui il professore l’aveva congedato: «Ti ho rivelato tutto questo perché ho la certezza che questo segreto lo porterai con te». Era una frase che lasciava spazio a molte interpretazioni.
Improvvisamente i grandi motori dei condizionatori si misero in moto, facendo vibrare il pavimento. Settimio fece un sobbalzo e li maledisse come ogni volta. Si arrestarono dopo qualche istante, e il rumore del traffico di via dell’Ambaradam tornò a riempire il silenzio che lo circondava. Poi la porta di metallo si spalancò e colpì la parete a fianco.
«So’ proprio un rincojonito!» disse ad alta voce tornando sui suoi passi. Era stato il vento. «Eppure lo so che la devo chiude ’sta porta. Finirà che me beccano e me tolgono le chiavi».
Si riaccesero nuovamente i motori dei condizionatori e di nuovo Settimio sobbalzò per la paura. Il suo vecchio cuore si prese uno spavento.
«Se continua così finisco all’obitorio» si disse cercando di camuffare le proprie paure.
Avanzò verso la ringhiera, si affacciò e prese di mira i due portantini con la sigaretta che aveva appena fumato. Scoccò il mozzicone e aspettò che cadesse a terra.
A un tratto sentì una spinta energica da dietro, il corpo oltrepassò la balaustra. Non urlò mentre cadeva nel vuoto. Sapeva che sarebbe finita così.